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Associazione Sviluppo Propulsione Spaziale
LA PROPULSIONE ELETTROMAGNETICA PNN IN BREVE
Il problema della propulsione convenzionale
L'astronautica si fonda sin dai sui albori sul Terzo principio della Dinamica, comunemente detto principio di azione-reazione. Esso ci insegna che per poter ottenere una spinta in una data direzione nello spazio inteso non solo come cosmico ma anche nelle tre dimensioni è necessario produrne un'altra in direzione uguale e contraria.
Questo approccio al problema spinta (propulsione) sebbene abbia permesso all'uomo di raggiungere risultati notevoli porta con sè una inevitabile condanna: per poter muoversi nello spazio occorre portarsi appresso una massa da espellere, cioè il carburante.
Il caso più eclatante è il razzo, che ha dimensioni così imponenti perchè deve contenere il propellente che sarà espulso per vincere la forza di gravità della Terra, attraversare gli strati più densi dell'atmosfera e quindi raggiungere lo spazio dove rilascerà il suo carico utile (payload) ovvero ciò che andrà effettivamente nello spazio sia esso un satellite, una sonda o una capsula per il volo umano.
Terminato il carburante il razzo avrà esaurito il suo scopo e ricadrà vuoto sulla Terra per adagiarsi sul fondo dell'oceano. Non è un caso che esso non venga chiamato astronave ma bensì vettore, cioè portatore. L'astronave vera e propria costituisce infatti una percentuale irrisoria della massa iniziale sulla rampa di lancio. Il problema è evidente anche senza calcolare tale percentuale, basta prendere i dati del Saturn V, il razzo utilizzato nella missione Apollo 11 del 1969: delle circa 2900 tonnellate di massa totale solo 43,5 raggiunsero effettivamente la Luna.
Oggi nonostante siano passati quasi sessant'anni è cambiato davvero poco, l'efficienza di un razzo vettore è pressochè invariata e anzi, il Saturn V detiene tuttora il record di razzo più potente mai costruito.
Non cambia molto con la propulsione a ioni, l'unica alternativa oggi esistente a quella chimica ma necessita sempre di un vettore per lasciare la Terra: la massa del propellente è sì molto meno ingombrante del carburante chimico ma la spinta ottenuta è paragonabile al peso di un foglio di carta tenuto sul palmo di una mano.
​Occorre allora un cambio di paradigma, cioè passare alla propulsione elettromagnetica che, come verrà illustrato, non è vincolata alla meccanica Newtoniana.
Essa si distingue per la totale assenza di massa di reazione, ovvero è un sistema in grado di spingere sinchè è attivo il generatore di corrente elettrica. Nel caso questo fosse un pannello solare o meglio ancora un generatore nucleare teoricamente non ci sarebbero limiti alle applicazioni: se una sonda oggi viene diretta per inerzia verso Marte ed è destinata ad essere abbandonata in situ con la PNN tale sonda potrebbe raggiungere il pianeta accelerando per metà del percorso e quindi rallentando nella seconda metà riducendo drasticamente i tempi di percorrenza. Inoltre, non avendo espulso combustibile, essa con il minimo sforzo potrebbe venir dirottata all'osservazione delle lune di Marte quindi venir assegnata al sistema planetario di Giove per poi essere richiamata sulla Terra.
Insomma l'uomo potrebbe disporre di una vera e propria astronave che con i mezzi e le risorse adeguate potrebbe finalmente consentire il volo interplanetario umano e la colonizzazione del sistema solare.
Il principio della propulsione senza espulsione di massa di reazione alla base della PNN
Il principio fondante del propulsore PNN (acronimo per Propulsione Non Newtoniana) è l'interazione tra le forze di Lorentz che si formano nei bracci di un dipolo a V quando questi sono percorsi da corrente.
Sebbene comunemente si ritenga che non possano esistere forze di Lorentz in un circuito aperto ciò non è del tutto esatto: se infatti in tale circuito viene fatta scorrere una corrente alternata e questa viene esposta ad un campo elettromagnetico non esiste alcun vincolo fisico o teorico che vieti alla forza di Lorentz di manifestarsi. A differenza però delle forze osservabili in un circuito chiuso quelle esistenti in un circuito aperto sono molto più piccole e dunque difficilmente rilevabili, devono essere in qualche modo amplificate. Nel caso della PNN ciò avviene attraverso l'auto-iterazione.
Nella Figura 1 sottostante viene mostrato lo schema di un dipolo PNN. Esso è composto da due bracci in materiale conduttivo (filo litz) che hanno vertice comune nel punto di alimentazione (feedpoint) dove un cavo coassiale fornisce la corrente alternata.
Una volta alimentato si formeranno nel dipolo due correnti Ia e Ib nei rispettivi bracci A e B ed opposte tra loro.
Fig.1
Il movimento degli elettroni all'interno dei bracci ha come effetto intrinseco l'emissione di un campo elettromagnetico.
Quando le onde elettromagnetiche emesse dal braccio A investiranno il braccio B e dunque interagiranno con la corrente circolante nello stesso si otterrà come effetto una forza di Lorentz Fb perpendicolare alla corrente Ib. Lo stesso varrà per il campo elettromagnetico emesso dal braccio B che investirà la corrente Ia circolante nel braccio A e dunque si otterrà una seconda forza di Lorentz Fa anch'essa perpendicolare ma alla corrente Ia. Ciò viene illustrato nelle figure 2 e 3 sottostanti.
Osservando allora la disposizione delle forze Fa e Fb nel dipolo si nota immediatamente che per via dell'angolazione dei bracci esse non sono perpendicolari ed opposte tra loro e pertanto non si annulleranno a vicenda ma, applicando la regola del parallelogramma ai vettori di forza, daranno luogo ad una forza risultante FR che è esattemente ciò che spinge in avanti il propulsore.
In Figura 3 si può osservare che quando la corrente circolante nei bracci si alterna e dunque cambia direzione non ci sono conseguenze per le forze Fa,Fb e FR in essere.
Tale risultante FR non nulla si manifesta in violazione del Terzo principio della Dinamica (ecco perchè questa propulsione viene definita Non Newtoniana) e dagli esperimenti condotti con il prototipo F432BA agganciato al setup sperimentale illustrato in Figura 4 le forze sui bracci hanno la tendenza ad aumentare imprevedibilmente nel tempo a parità di potenza impiegata.
Fig.2
Fig.3
Fig.4